Gabriele Romeo
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"L’antagonismo che in passato creava una dicotomia tra arte e scienza, viste come alternative l’una all’altra, si può dire oggi in gran parte superato, sotto la spinta della scienza e della tecnologia moderne. Arte e scienza erano in passato considerati ambiti reciprocamente del tutto estranei: l’arte era pensata in termini puramente soggettivi e intuitivi, come la proiezione materiale dell’immaginazione dell’artista; la scienza, al contrario, era circoscritta all’ambito chiaramente razionale e materiale degli oggetti e degli esperimenti osservati empiricamente.
A posteriori questa distinzione appare piuttosto farsesca. Sotto certi aspetti siamo forse tornati al punto di partenza, e “l’eterno ritorno” previsto da Blanqui e da Nietzsche sembra a volte essersi in effetti verificato nelle esperienze dell’arco di una sola vita. Guardando indietro nel tempo, nella prospettiva della storia dell’arte, il famoso disegno di Leonardo noto come l’Uomo vitruviano (1490) nel Rinascimento era considerato un esempio paradigmatico della reciproca sovrapposizione e integrazione di arte e scienza. Quando il famoso artista giunse a Milano fu in effetti accolto alla corte di Ludovico il Moro in primo luogo come uomo di scienza. Ed è solo a partire dal diciottesimo secolo, con la suddivisione in epoche dell’evoluzione del pensiero umano teorizzata dall’Illuminismo e ribadita dal positivismo e dalla specializzazione del diciannovesimo e del ventesimo secolo, che si è arrivati a rifiutare l’idea di un mondo che debba essere compreso come un insieme meccanico di parti diverse.Il testo di Gabriele Romeo in questo volume non cerca però tanto di confutare i modi di pensare precedenti, quanto di “neutralizzarli” attraverso esempi specifici, che indagano come arte-scienza e tecnologia possano essere assimilate, nel tumulto di immagini e di messaggi propagandistici da cui siamo oggi continuamente assaliti.
Se possiamo certamente individuare alcuni precisi momenti, all’inizio del Novecento, in cui le nuove tecnologie disponibili sono state utilizzate come un’interfaccia immediata tra scienza e arte – esempi ovvi sono il Bauhaus e il Costruttivismo russo, oltre alle utopie moderniste esplorate dal nuovo medium del film – questo avveniva nella maggior parte dei casi in contesti in cui la prospettiva della disgregazione materiale dell’io soggettivo suscitava ancora diffuse paure e resistenze.
Si trattava forse di un portato residuo del Romanticismo, sopravvissuto come risposta soggettiva alla rivoluzione industriale e all’accresciuta urbanizzazione, e tuttavia bisogna aspettare il secondo dopoguerra e il post-esistenzialismo dei tardi anni cinquanta e dei successivi anni sessanta perché l’utilizzo nell’arte della scienza e della tecnologia venga sostenuto da un consenso teorico, e parallelamente si diffonda nella pratica artistica co mune. Negli Stati Uniti possiamo forse pensare a Buckminster Fuller, che al Black Mountain Art College introdusse per esempio l’idea di “sinergetica”, intesa come lo studio dei sistemi di trasformazione e di comportamento, oltre a progettare la sua celebre, proto-ecologica, cupola geodesica. Molte di queste idee ispirate dalla scienza e dalla cibernetica furono analogamente sviluppate da movimenti come il Minimalismo e l’Arte concettuale. In Europa sorsero gruppi come Zero, Nul e Arte povera, che si confrontarono con le teorie fenomenologiche e scientifiche allora prevalenti circa il movimento, la luce, la percezione cognitiva e i diversi sistemi concettuali.
Una straordinaria inclinazione fenomenologica si registra negli anni cinquanta anche in Giappone, con movimenti innovativi come Gutai, per arrivare fino a Mono-Ha. L’aspetto che è importante sottolineare è come gli artisti non si siano limitati a trarre semplicemente ispirazione dalla scienza, ma siano stati sempre più in grado di contribuire allo sviluppo stesso della scienza e di svelare ulteriori possibilità di integrazione tra arte e conoscenza scientifica, in un processo di sintesi creativa tra le due.
Lo spirito di indagine rigorosa e l’allegra curiosità che caratterizzano lo scienziato nel suo laboratorio sono spesso analoghi a quelli dell’artista nel suo studio. Artisti e scienziati condividono infatti la spontaneità nell’approccio al mondo che li circonda, e come ha osservato Albert Einstein “per stimolare la creatività, bisogna sviluppare un’inclinazione infantile al gioco e il desiderio infantile di riconoscimento”. Un libro che si occupa di queste nuove e innovative formule di spontaneità interattiva non potrà che contribuire al processo di riunificazione della coscienza artistica e scientifica in atto in questi anni.
Questo è stato possibile, in prospettiva, anche grazie al radicale spostamento da una visione lineare e diacronica della storia e della società, al nuovo mondo, trasformato da Internet, orizzontale e sincronico. Detto ciò è anche necessario trovare criteri che permettano di dominare il diluvio di immagini che oggi ci sommerge, elaborando categorie esegetiche per le caratteristiche individuali di ciascuna, senza tuttavia arrivare a una divisione netta. Questo è quanto tenta di fare la presente pubblicazione, elaborando una comprensione “assimilativa” delle opere prese in esame, fatta di sintesi e ripetizione, connessione sinaptica e separazione, cognizione neurale e nuove forme ci coscienza ontologica.
Gabriele Romeo ha cercato qui di spiegare questi complessi concetti con una prosa semplice e intellettualmente chiara. Le opere prese in esame spaziano dalle commissioni site-specific a installazioni su larga scala per musei o mostre, a oggetti statici, ad altri mobili che costituiscono una provocazione. Il fatto che l’approccio sia stato altamente selettivo non inficia il significato che vi è sotteso. Se, per riassumere, questo libro si può definire post-contemporaneo, è “post” solo nel senso di Lyotard, che parlava di un “dopo” (postmodernismo), inerente al “prima” (modernismo), cioè come la ricerca di una nuova consapevolezza, che porti alla luce le singolarità inerenti alle potenziali pluralità di ogni dato periodo storico."
"The antagonistic either/or that once created a dichotomy between art and science has largely dissolved under the contemporary forces of science and technology. Art and science were once considered alienated entities, where art was thought of purely in subjective terms of the intuitive as extended imaginative material projections, to the contrary science was about the clearly rational-material world of observed empirical objects and experiments. It now appears in retrospect somewhat farcical in today’s thought to comprehend it as such. In certain regards we have, perhaps, travelled full circle as Blanqui and Nietzsche’s predicted vision of “eternal return” sometimes seems to have been made manifest within the experiences of a single lifetime. When looking back through the optics of art history Leonardo’s famous drawing of the so-called “Vitruvian Man” (1490) was considered a Renaissance paradigm for the mutual intersection and integration of art and science.
When the famed artist arrived at the court of Ludovico Il Moro he was initially taken on as a uomo di scienza, or man of science. And it is only with the subsequent historical segmentation of human thought brought about by the eighteenth century Enlightenment, and extended through the “positivism” and “specialisms” of the later nineteenth and early twentieth centuries, that we have come to reject the idea of a world that must be understood as a mechanical assembly of parts.
However, the contribution of Gabriele Romeo in the current volume seeks not so much to disassemble previous ways of thinking as to “neutralise” them through chosen singularities into how contemporary art-science and technology might be assimilated within the current welter of images and propagandas that assail us. While we can point to certain moments in the early twentieth century where new technologies were applied as an immediate interface between science and art – the Bauhaus and Russian Constructivism are obvious cases, as are the various Utopian Modernist avenues of new f ilm media – these were done largely against the residual fears and resistances towards material disruptions of the subjective self. Though this may well have been the residual legacy of Romanticism, born of its subjective response to the industrial revolution and to increased urbanisation, it was not really until the post-war and post-existential period of the late 1950s through the 1960s, that the embrace of a committed theoretical sense and co-equal material use of science and technology was first seriously integrated into mainstream artistic practices. In the USA, we might think perhaps of Buckminster Fuller at Black Mountain Art College, where he introduced ideas like “synergetics” as the study of transformation and behaviour systems, alongside his famous proto-ecological geodesic dome. Similarly, many of these science-driven ideas alongside cybernetics were carried forward into areas such as Minimalism and Conceptual Art.
In Europe we find groups like Zero, Nul, and Arte Povera, which related their ideas to prevailing phenomenological and scientific theories of motion, light, cognitive perception, and numerous conceptual systems. A unique phenomenological bias was also present in 1950s Japan, with innovative movements like Gutai that continued through to Mono-Ha. The point made is that far from simply deriving from scientific ideas, artists have increasingly become science-generative and reveal ways by which art and science knowledge can be further re-integrated through a reunifying force that promulgates a creative art-science synthesis. The investigative and playful mind of the scientist in his laboratory often operates today in direct parallel with that of the playful questioning and speculative role of the artist in his studio. For artist and scientist share in attitudes of spontaneous impulse, in relation to which Albert Einstein observed: “…To stimulate creativity one must develop a childlike inclination for play, and the childlike desire for recognition.” A publication that touches on these new innovative regimes of interactive spontaneity can only benefit the reintegration of the artistic and scientific consciousness that is currently taking place. In overview the radical shift away from a linear or diachronic views of world behaviour, into the new horizontally oriented internet-based synchronic universe has allowed much of this to be realised. With this being said the achieved means to overcome the deluge of images in the pictorial world needs also to create exegetical non-separative singularities. This is what is being currently undertaken by the present publication in generating an assimilative understanding of synthesis and repetition, synapse and separation, neural cognition and new forms of ontological consciousness.
Gabriele Romeo has sought therefore to elucidate these complex ideas through simple prose and intellectual clarity. The works discussed are far-reaching, ranging from various site-specific commissions to large-scale museum and exhibition installations, through to static objects and/or ambulatory provocations. That the approach has been highly selective does not mitigate the fact of its intended import. If the summation of the book is post-contemporary, it is “post” only in the sense expressed by Lyotard, as the “after” (postmodernism) that was inherent within the state of “before” (modernism), while a new sense of consciousness seeks out the singularities that lie within the potential pluralities of any given period of history."
©️ Mark Gisbourne
©️Gabriele Romeo, Skira Editore.
da/from: #HASHTAGART: dallo stile alla neutralizzazione (from style to neutralisation) pp. 8-15, Milano, Skira, 2018.